Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM IV-TR) definisce la fobia specifica come una paura marcata e persistente, eccessiva o irragionevole, provocata dalla presenza o dall’attesa di un oggetto o situazione specifici (volare, nuotare, altezze, animali, uscire di casa…) la cui esposizione genera una immediata risposta ansiosa che può prendere anche la forma di attacco di panico. Tali situazioni vengono solitamente evitate o sopportate con intensa ansia e disagio.
E’ opinione comune – ma non fondata – che le fobie siano innate o inconsce. Ciò può pesare come una condanna per la quale non c’è assoluzione.
L’oggetto del presente approfondimento ha come scopo dimostrare che le fobie non sono né innate né inconsce ma si strutturano con la seguente modalità: una combinazione di eventi ordinari emotivamente “neutri” con un insieme di sensazioni negative, resa patologica da ridondanze comportamentali disfunzionali (F. Pomarico 2013).
Un esempio chiarirà la definizione. Chiara (il nome è di fantasia) si trova al centro commerciale dove si reca tutti i venerdì pomeriggio per fare la spesa (evento emotivamente neutro e ordinario). Quel venerdì però Chiara inizia ad avvertire capogiri e vampate di calore (l’evento ordinario diventa straordinario), ha paura di sentirsi male e si spaventa moltissimo (insieme di sensazioni negative). Nel frattempo, i rumori di fondo si fanno sempre più lontani e ovattati, il disagio cresce esponenzialmente. Chiara non sa che fare, ha paura di perdere il controllo o sentirsi male così decide di uscire rapidamente dal centro commerciale. Uscita all’aria aperta si sente subito meglio, ma nel far ritorno a casa, il fresco ricordo di ciò che le è appena accaduto genera i primi dubbi e paure che quell’evento possa verificarsi una seconda volta.
Passa una settimana ed arriva il solito giorno stabilito per fare la spesa. Ciò che farà Chiara d’ora in poi sarà determinante per la genesi di una fobia specifica.
1° scenario (evoluzione di un processo fobico)
Chiara inizierà ad organizzare la sua vita valutando costantemente il rischio che l’evento negativo possa riproporsi, evitando situazioni (stesso luogo o simili) e/o prendendo precauzioni (equipaggiandosi di bottiglia d’acqua, farmaci, cellulare sempre carico, chiedendo di farsi accompagnare…). Tanto ripeterà queste azioni (ridondanze comportamentali disfunzionali o tentate soluzioni) più aumenterà la sua incertezza strutturando ciò che viene definito disturbo fobico.
2° scenario
Chiara, seppur timorosa, tornerà a fare la spesa nel solito centro commerciale pensando a ciò che le è accaduto come ad un brutto ma isolato episodio.
L’atto di tornare dove è avvenuto il fatto verrà sperimentato come un successo e avvierà un circolo virtuoso che in poco tempo restituirà a Chiara sicurezza ed autostima, azzerando il rischio che un semplice episodio di paura possa degenerare in fobia.
In sintesi, ciò che diventa determinante nella genesi di una fobia non è la scelta di fuggire (peraltro istintiva) o ciò che la persona fa sul momento ma ciò che sceglierà di fare successivamente al primo evento.